Technologie e Diritti

Intercettazioni telefoniche ai giornalisti - un efficace deterrente all'esercizio della libertà di espressione

Il recente scandalo sulla sorveglianza di 17 giornalisti in Lituania solleva la questione se le forze dell'ordine prestino attenzione agli standard sui diritti umani (inclusa la libertà di espressione) quando prendono decisioni.

by Human Rights Monitoring Institute

"I giornalisti sono... essenziali alla democrazia perché contribuiscono ad assicurare trasparenza e resocontabilità nella conduzione degli affari pubblici e di altre questioni di pubblico interesse", ha detto Navi Pillay, Alto Commissario per i Diritti Umani della Nazioni Unite, alla conferenza dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) che si è tenuta il 3 e 4 luglio 2014. Le violazioni dei diritti umani spesso riguardano proprio i giornalisti, a causa del particolare ruolo che svolgono in società.

Sfortunatamente, la libertà di stampa negli stati OSCE è limitata in molti modi - dalla tortura dei giornalisti nelle prigioni della Bielorussia alla rigida regolamentazione dei blogger in Russia.

Eppure, non c'è alcun bisogno di mettere i giornalisti dietro le sbarre per limitare la libertà di espressione in ogni stato - recentemente nuove tecnologie sono state impiegate sempre più spesso per questo scopo specifico. "L'intercettazione telefonica dei giornalisti è uno dei modi più efficaci per scoraggiare l'esercizio della libertà di espressione", ha detto Monroe Price, docente di studi sulla comunicazione presso l'Università della Pennsylvania, nel suo intervento all'Istituto di Monitoraggio dei Diritti Umani.

L'intercettazione telefonica dei giornalisti come mezzo per limitare la libertà di espressione

A giugno, è venuto alla luce che, durante una particolare investigazione pre-dibattimentale, i servizi segreti lituani hanno intercettato 17 giornalisti di "Baltijos Naujienų Tarnybos" (Servizio di Informazione Baltico, BNS).

Considerando che ciò che è avvenuto è un controllo di massa dei giornalisti, questa notizia ha sollevato inevitabili questioni: le attività di investigazione prestano attenzione allo status speciale dei giornalisti e delle altre fonti di informazione? Le forze dell'ordine ricorrono a misure coercitive segrete solo in casi estremi? I tribunali esercitano efficaci procedure di controllo e assicurano che gli standard sulla protezione dei diritti umani siano rispettati?

Tali questioni trovano una parziale risposta nel modo in cui gli operatori che hanno permesso e partecipato alla sorveglianza dei giornalisti hanno reagito alla storia.

Le caratteristiche del giornalismo e la protezione delle fonti dei giornalisti

Il pubblico ministero incaricato delle investigazioni pre-dibattimentali ha affermato che "[...] la selezione ha riguardato persone che, una volta che le intestigazioni preliminari hanno avuto inizio, potevano ricevere informazioni rilevanti per il procedimento - in questo caso, sono state selezionate 17 persone che erano impiegate o avevano qualche altra relazione con BNS UAB. Se questa lista avesse incluso 17 pubblici ministeri, allora avremmo intercettato 17 pubblici ministeri allo stesso modo. Vorrei sottolineare che l'applicazione di misure di coercizione procedurale non ha niente a che vedere con le professioni".

In realtà, se la osserviamo da un prospettiva di protezione dei diritti umani, la differenza tra professioni è molto importante. Nel caso di Goodwin v. United Kingdom - di più di 18 anni fa - la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) stabilì che la "protezione delle fonti giornalistiche è una della condizioni basilari per la libertà di stampa" e può essere ignorata soltanto in circostanze eccezionali. La decisione spiegava anche il perché essa meritasse uno status così speciale: senza tale protezione, le fonti possono essere restie ad assistere la stampa nell'informare l'opinione pubblica su questioni di pubblica rilevanza. Di conseguenza, questo impedirebbe alla stampa di svolgere la sua funzione essenziale - provvedere un'informazione accurata e affidabile.

In tal modo, rispetto sia al caso particolare che al giornalismo in generale, è impossibile ignorare il ruolo che la professione gioca nel salvaguardare la democrazia. Di conseguenza, dovunque le forze dell'ordine cerchino di limitare tale diritto, la CEDU ricorda sempre loro che le sue sentenze in merito alla protezione delle fonti giornalistiche costituiscono il fondamento della libertà di stampa (per esempio, nel caso Sanoma Uitgevers B.V. v. the Netherlands).

I tribunali Lituani sono riluttanti nel tener conto degli standard sui diritti umani

Sfortunatamente, gli argomenti della CEDU sono talvolta ignorati non solo dalle forze dell'ordine, ma anche dai giudici lituani - che sono tenuti ad agire in assonanza con le decisioni della precedente corte. Quando interrogato sulla sua decisione, il giudice che ha sanzionato l'uso dell'intercettazione telefonica al di fuori dell'orario di lavoro ha detto che "la legge non fa eccezioni nel proibire l'uso di tali misure contro i giornalisti." Ha aggiunto anche che "l'azione procedurale intrapresa fuori dall'orario di lavoro non è eccessivamente complicata e non richiede speciali abilità o preparazioni."

Formalmente, il giudice non sbaglia: il Codice Penale non contiene precise istruzioni per determinare quali persone possano essere intercettate e, se lo sono, in quali particolari circostanze (l'unica eccezione è la proibizione di registrare conversazioni tra un sospettato e il suo consulente legale).

Da un lato, questo può essere letto come un difetto della legge: essa fornisce soltanto una limitata protezione delle fonti giornalistiche - semplicemente permette ai giornalisti di non rivelare le loro fonti nel momento in cui presentano delle prove. Nello stesso tempo, i giornalisti non ricevono alcuna protezione aggiuntiva quando l'azione procedurale è intrapresa per svelare queste stesse fonti, come l'acquisizione di documenti o beni, blitz presso le sedi o sorveglianza segreta tramite le intercettazioni. In tal senso, questo è un difetto che può e dovrebbe essere rimosso.

D'altro canto, il fatto che la legge non sia onnicomprensiva è di per sé una scusa mediocre: un atto di legge non può sperare di regolare ogni immaginabile situazione e questo è esattamente il motivo per cui i giudici dispongono di discrezionalità nel prendere le decisioni, in considerazione di tutte le circostanze - e le loro decisioni non possono non tener conto degli standard internazionali sui diritti umani posti dalla CEDU.

Il punto di vista espresso dal giudice - che prendere decisioni sull'uso delle misure coercitive da parte delle forze dell'ordine non è una questione complicata - è pericoloso. Nel deliberare sulla restrizione dei diritti umani fondamentali, alla luce del bisogno di assicurare la sicurezza pubblica, nessuna decisione è mai semplice o può essere presa a cuor leggero, applicandola con lo stampino semplicemente perché il codice non la proibisce espressamente. Ciò che è scritto - o ciò che è omesso - in un singolo articolo di una legge non può diventare l'unica considerazione dei giudici se essi sono responsabili di assicurare che lo stato non abusi del suo potere contro l'individuo o la società.

Questo articolo è stato scritto da Karolis Liutkevičius, funzionario legale dell'HRMI, e pubblicato su Delfi.it, portale informativo.

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