Democrazia e Giustizia

ONG rumene in allerta, governo prende di mira le libertà civili

Il 2017 è iniziato con quella che è stata forse la più grande manifestazione dalla caduta di Ceausescu, ma le ONG adesso lottano per la loro sopravvivenza.

by Jonathan Day
Manifestanti a Bucarest il 5 febbraio. La forza delle manifestazioni pubbliche ha costretto il governo a ritirare il decreto che depenalizzava alcune forme di condotte illegali dei funzionari pubblici. (Foto: Albert Dobrin)

Come in Ungheria, Polonia e in altri paesi UE, il governo rumeno è da tempo impegnato nella preparazione di leggi che limitano le attività delle organizzazioni non governative. Vari disegni di legge in discussione in Parlamento, se approvati, limiterebbero gravemente il diritto fondamentale di protestare e la responsabilità del governo. Nonostante l'anno sia iniziato all'insegna di un grande successo per la società civile, ora più che mai tutti devono restare vigili per difendere le libertà civili.

La gente ha la meglio

A inizio gennaio, il neo-formato governo di Sorin Grindeanu ha fatto ricorso ad una procedura d'emergenza per accelerare l'approvazione di un decreto che depenalizzarebbe alcune forme di condotte illegali da parte di funzionari pubblici. Inoltre ha proposto una modifica al Codice Penale che depenalizzerebbe l'abuso di potere nel caso in l'ammontare della cifra sottratta fosse inferiore ai 200.000 leu rumeni (circa 43.500 euro).

Il decreto è stato ufficialmente giustificato come necessario per far fronte al sovraffollamento delle carceri rumene, poiché la corruzione tra gli ufficiali è endemica nel paese e molti di loro si trovano in carcere. Ma il decreto e la modifica al Codice Penale sono considerati dai cittadini e dalle organizzazioni per le libertà civili piuttosto come un tentativo maldestro di liberare i funzionari che hanno commesso reati in passato e di isolare i politici che si accingono ad indagare sulla corruzione in futuro.

Varie proteste contro le riforme sono state organizzate a Bucarest e in altre città del paese. Le associazioni della società civile hanno mobilitato decine di migliaia di persone che hanno manifestato per più giorni. Il 5 febbraio a Bucarest si è tenuta la più grande manifestazione dalla caduta di Nicoae Ceausescu, con oltre mezzo milione di persone che hanno chiesto le dimissioni del governo.

La risposta è arrivata rapidamente: il governo ha abrogato il decreto lo stesso giorno e l'8 febbraio il Parlamento ha votato sulla fiducia al governo. Il governo è rimasto in piedi, ma a malapena: i parlamentari della coalizione di governo si sono tutti astenuti, impedendo agli oppositori di raggiungere il necessario 50%.

Libertà civili a rischio

Le imponenti manifestazioni sembrano aver costretto molti politici rumeni a rendersi conto della forza della società civile. La gente non ha lasciato dubbi sul fatto di avere il potere di rendere il governo responsabile delle sue condotte. I funzionari rumeni, forse un po' impauriti nel rendersi conto di questo, hanno iniziato a rilasciare dichiarazioni pubbliche e a produrre leggi contro l'esercizio delle libertà civili e la libertà di azione delle ONG.

Una settimana dopo il ritiro del decreto, il Ministro del Lavoro Olguta Vasilescu ha messo in guardia i manifestanti, che stavano per tornare a manifestare in massa contro il governo, sul loro dovere di rispettare una legge che vieta ai genitori di portare con sé i propri figli durante le manifestazioni pubbliche.

Un altro membro del PSD, Arges Catalin Radulescu, nel bel mezzo delle proteste ha dichiarato che la polizia dovrebbe colpire i manifestanti con gli idranti. Ha anche dichiarato di essere ancora in possesso di un fucile AKM recuperato durante la rivoluzione e di essere pronto ad usarlo contro i manifestanti.

Ma le proposte di legge possono fare molti più danni della retorica. A marzo è stato presentato in Senato un disegno di legge che punisce qualunque tentativo di 'impedire l'ordine costituzionale' con una pena che arriva a tre anni di carcere. Questa legge renderebbe di fatto le proteste pubbliche, comprese quelle che hanno avuto luogo a febbraio, illegali. Per fortuna, tuttavia, il disegno di legge è ancora in discussione in parlamento e può ancora essere bloccato.

Forse la proposta di legge più preoccupante presentata quest'anno è però il disegno di legge che costringerebbe alla chiusura tutte le ONG che non pubblicano rendicontazioni sui loro bilanci due volte all'anno. Il disegno di legge, proposto a inizio giugno, sembra la copia della legge approvata in Ungheria (a sua volta simile ad una legge russa) che costringe le ONG che ricevono oltre 24.000 euro di finanziamenti dall'estero a registrarsi come 'agenti stranieri'.

Una battaglia per la sopravvivenza

La risposta delle ONG rumene contro la proposta di obbligo di rendicontazione del budget è stata forte. Molte tra le più importanti organizzazioni del paese, tra cui APADOR-CH, membro di Liberties, hanno pubblicato una lettera di protesta contro il disegno di legge e sollecitato i parlamentari a respingerlo. Dopo le forti pressioni, la discussione sulla proposta è stata sospesa fino a dopo l'estate.

Sebbene ci siano state poche reazioni al di fuori del paese, forse nella speranza che i parlamentari tornino sui loro passi, la situazione non è passata inosservata a qualcuno a Bruxelles. Ad aprile, eurodeputati del gruppo Verdi/EFA hanno rilasciato al Parlamento Europeo una dichiarazione che mette in guardia sul tentativo del governo rumeno di 'restringere le libertà di cui ora godono i cittadini e le organizzazioni della società civile'. Se il governo decidesse di riconsiderare i disegni di legge summenzionati, il Parlamento Europeo risponderebbe in maniera ben più forte e con ampio supporto.

Le ferme prese di posizione pubbliche sono state particolarmente importanti per contrastare il pericolo rappresentato dall'attacco alle ONG – un pericolo che va oltre le ovvie restrizioni ai nostri diritti. La retorica politica contro il lavoro delle ONG e addirittura le minacce contro i loro sostenitori molto facilmente potrebbero essere visti come una legittimazione della violenza contro di loro. Abbiamo già assistito a comportamenti analoghi in altri paesi UE in cui il governo ha dimostrato repulsione nei confronti delle libertà civili. Il pestaggio politicamente motivato di un'operatrice di un'ONG slovacca nel settembre 2016 e il saccheggio delle sedi di un'associazione LGBT in Polonia a giugno di quest'anno non sono che due esempi.

Infatti, abbiamo già visto le premesse di tutto questo in Romania: a giugno, un uomo è stato picchiato mentre sfilava al corteo del Bucarest Pride semplicemente per il fatto di indossare abiti dai colori della bandiera arcobaleno, simbolo dei diritti LGBT. Quando i politici minacciano apertamente di usare violenza, questo rappresenta una tacita legittimazione per chi intende mettere in atto tali comportamenti.

In concomitanza con il rientro dei parlamentari rumeni dalle vacanze estive, le summenzionate leggi potrebbero tornare in agenda. L'anno è partito con un gran successo per le associazioni per le libertà civili, ma questo le ha rese un bersaglio dei politici che vogliono evitare di assumersi responsabilità di fronte ai cittadini. In Romania, così come in altre parti dell'UE, le ONG stanno entrando in una fase di nuova lotta per la loro sopravvivenza e per la sopravvivenza della democrazia e dello stato di diritto.



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