Technologie e Diritti

Italia accusata per i rimpatri di migranti verso paesi non sicuri

Cinque cittadini sudanesi originari del Darfur, che erano tra i 48 “migranti irregolari” forzatamente rimpatriati dall'Italia in Sudan ad agosto, hanno presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.

by Malika Bêche-Capelli

Nel mese di agosto 2016 le autorità italiane hanno arrestato e trasportato su autobus circa 60 migranti sudanesi da Ventimiglia all'hotspot di Taranto, dove hanno immediatamente ricevuto un'ordinanza di espulsione approvata dal prefetto della città e ratificata dal Giudice di Pace.

Da Taranto, con gli ordini in mano, 48 migranti hanno lasciato l'hotspot per iniziare il viaggio di ritorno e il 24 agosto erano su un volo da Torino a Khartoum.

Accordi con dittatori

Questo è stato possibile grazie all'accordo firmato all'inizio di agosto 2016 dal capo della Polizia Italiana, Franco Gabrielli, con la sua controparte sudanese.

Quello con il Sudan è soltanto uno dei vari accordi che l'Italia ha firmato per agevolare il rimpatrio di cittadini di paesi terzi e che sono considerati “illegali”.

Questo specifico accordo, in particolare, è stato ampiamente contestato, perché il Sudan è uno dei peggiori regimi dittatoriali al mondo.

L'esistenza di questo accordo è stata rivelata solo alla fine di agosto, a seguito dell'ondata di indignazione pubblica causata dal rimpatrio forzato di 48 giovani rifugiati da Ventimiglia al Sudan.

Angelino Alfano, ministro degli interni all'epoca, ha difeso con orgoglio la legittimità dell'operazione: “Violazione di diritti umani? No, il rimpatrio è avvenuto nel pieno rispetto di un accordo tra la polizia italiana e quella del Sudan.”
Ma tale accordo, che non è mai stato ratificato dal Parlamento Italiano e i cui contenuti sono stati rivelati solo nel mese di ottobre 2016, viola sia le leggi italiane che quelle internazionali. Secondo il Tavolo Nazionale sull'Asilo, si tratta di un accordo “totalmente illegittimo.”

Strasburgo

Il Sudan è tra le 10 nazioni con i più alti tassi di accoglienza delle richieste di asilo, per via della difficile situazione nel paese.

Le tensioni nel paese colpiscono tutti i cittadini sudanesi, ma risultano particolarmente pesanti per chi proviene dal Darfur, poiché tale provincia è al momento coinvolta in un conflitto armato che continua a provocare fughe di massa e vittime civili e nell'ambito del quale tutte le parti coinvolte hanno commesso gravi violazioni di diritti umani.

Nonostante la situazione critica in Sudan, l'Italia ha ritenuto perfettamente accettabili questi rimpatri lampo e quasi del tutto privi di garanzie. Sono stati realizzati nonostante il fatto che in base alla legge internazionale tali procedure siano consentite solo nei cosiddetti paesi terzi sicuri – una definizione che certamente non include il Sudan!

Per questi motivi, cinque cittadini sudanesi hanno portato il caso contro l'Italia di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani (Corte EDU) sostenendo che ci sia stata violazione del principio di non respingimento verso un paese in cui i diritti fondamentali non sono tutelati e le persone rischiano di essere sottoposte a trattamenti inumani (violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti Umani), oltre che violazione del divieto di espulsioni collettive (articolo 4 del quarto protocollo della Convenzione).

I rimpatri illegali da parte dell'Italia erano già stati condannati dalla Corte EDU: nel 2012, il paese aveva acconsentito ad effettuare rimpatri in Libia a seguito di un accordo tra Gheddafi e Silvio Berlusconi.

La sentenza della Corte di Strasburgo sarà particolarmente importante. L'ennesima condanna all'Italia per la pratica dei rimpatri sommari verso paesi evidentemente non sicuri potrebbe servire da ammonizione per il governo, che oggi più che mai sembra averne particolarmente bisogno.

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