Monitoraggio UE

In Italia troppi bambini vivono dietro le sbarre

Le strutture di detenzione non sono luoghi per bambini, tuttavia ad oggi 60 bambini vivono con le loro mamme detenute nelle carceri italiane.

by Sofia Antonelli

Secondo la legge italiana, le madri detenute possono tenere con sé i propri figli fino a quando non raggiungono i 3 anni di età. Dopo di che, i bambini devono lasciare il carcere e sono affidati alla cura dell'altro genitore, di un parente o, come ultima risorsa, ai servizi sociali. Questa disposizione garantisce, da un lato, il diritto delle detenute con figli ad essere madri e il diritto dei figli di crescere, almeno per i primi anni di vita, con le loro madri, ma, dall'altro, comporta che questi bambini debbano trascorrere la delicata età della formazione nell'ambiente malsano del carcere.

Come stanno le cose in pratica

Ad oggi sono 60 i bambini di età compresa tra 0 e 3 anni che vivono nelle carceri italiane. Tuttavia, raramente si sente parlare di loro. Di recente è emersa la notizia di un bambino di un anno, che vive nel carcere di Messina con la madre, che ha accidentalmente ingerito veleno per topi ed è quasi morto. Il carcere era infestato dai topi e un agente di polizia ha messo, di sua iniziativa, il veleno per topi nella sezione in cui vivono le madri con i loro bambini. Si tratta di un esempio estremo, ma evidenzia le condizioni pericolose e, in generale, inopportune in cui ad alcuni bambini sfortunati tocca trascorrere i primi anni di vita.

Per evitare queste situazioni, negli ultimi anni diverse associazioni di volontari, insieme alle istituzioni politiche e giudiziarie, hanno lavorato duramente per trovare alternative valide all'incarcerazione dei bambini che permettano di non interrompere la relazione con i loro genitori. Grazie a questi sforzi, nel 2001 è stata approvata la cosiddetta legge 8 marzo, che ha modificato alcune parti del regolamento precedente e ha favorito l'introduzione di nuovi meccanismi per facilitare l'accesso a misure alternative delle donne detenute con bambini piccoli.

Tuttavia, le misure alternative previste dalla legge sono accessibili solo ad alcune categorie di madri in detenzione, in particolare alle donne che non presentano alcun rischio di recidiva e in grado di dimostrare di avere una reale possibilità di tornare a vivere con i propri figli. Di fatto in questo modo venivano escluse tutte le donne ai margini della società, come le donne incarcerate per reati legati alla droga. E la detenzione domiciliare è un'alternativa al carcere che non è disponibile per le donne straniere che spesso non hanno una residenza fissa e il cui destino, insieme al destino dei loro figli, è perciò inevitabilmente limitato alla cella di una prigione.

I passi da compiere

Nel 2011 è stata introdotta una nuova riforma. Questa nuova legge ha previsto la possibilità, fatta eccezione per quei casi in cui la custodia sia ritenuta assolutamente necessaria, che le donne con figli scontino la loro condanna in un Istituto di custodia attenuata per madri detenute (ICAM). Questo dovrebbe permettere alle madri di vivere con i propri figli fino all'età di sei anni. Esistono inoltre le cosiddette Case famiglia protette, in cui le donne che non hanno un domicilio stabile possono scontare gli arresti domiciliari.

Per quanto riguarda l'ICAM, si tratta di strutture dell'amministrazione penitenziaria istituite in via sperimentale nel 2007. Sono strutture progettate per non assomigliare alle carceri tradizionali: gli agenti non indossano la divisa, i sistemi di sicurezza non sono riconoscibili dai bambini e le strutture stesse cercano di riprodurre ambienti familiari. Tuttavia, al di là del loro aspetto, gli ICAM sono strutture di contenimento, non alternative alla detenzione. Sono spesso situate vicino al vero carcere e lontane dal tessuto cittadino. Anche se non hanno l'aspetto di un carcere tradizionale, sono ugualmente luoghi destinati a recludere.

Case famiglia protette

Una valida alternativa alla detenzione dei bambini sono le Case Famiglia Protette. Si tratta di veri e propri appartamenti senza sbarre né cancelli, integrati nel tessuto urbano, con campi da gioco, luoghi per le attività educative, per trattamenti medici e per ricevere visite da altri parenti. In una casa famiglia protetta, le detenute hanno maggiori opportunità di comportarsi come madri reali. Ad esempio, sono in grado di portare i propri figli a scuola e di giocare con loro nel giardino all'aperto.

Tuttavia, la legge del 2011 non prevede alcun finanziamento per le case famiglia protette che, a differenza dell'ICAM, non sono sotto la direzione dell'amministrazione penitenziaria e devono essere gestite dalle autorità locali.

Fino ad oggi esiste una sola Casa Famiglia Protetta, aperta a Roma nel luglio 2017. Con l'istituzione di altre cinque o sei case, tutti i bambini che vivono attualmente nelle carceri italiane potrebbero essere ospitati con le loro madri in strutture più adeguate alle loro esigenze. Al momento, tuttavia, si è ben lontani dal raggiungere questo obiettivo.

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